lunedì 24 aprile 2017

Tempo di libri: 7 errori per un flop

Sugli errori commessi da Tempo di Libri ci si potrebbe scrivere un romanzo. Facile, direte voi, con il senno di poi. Vero, per questa ragione mi limiterò a un post, che spero possa essere anche costruttivo.
Ad ogni modo la mia è solo l’opinione di un visitatore. Uno dei pochi.



1. L’arroganza. TDL nasce in contrapposizione al più prestigioso Salone nazionale dedicato al libro,
quello di Torino. 30 anni di storia alle spalle, ma anche grandi buchi di bilancio e una gestione non sempre cristallina. È questa la ragione che spinge la grande editoria (con sede a Milano) a scendere in campo, al grido di “ghe pensi mi”, e di organizzarsi il proprio Salone “in casa”. Peccato che da subito il salone meneghino sembri avere come unico obiettivo quello di abbattere il rivale sabaudo. Da qui la geniale idea di organizzarlo negli stessi giorni (salvo poi anticiparlo di un mese).
Se scendi in campo sfidando il campione e lo fai con spocchia, be’ vedi di vincere e di vincere bene. Qualsiasi altro risultato è un flop. Torino intanto ringrazia, perché si sa, quello che non ti uccide ti rafforza.

2. La data infelice. In origine doveva tenersi negli stessi giorni del Salone di Torino, per costringere editori e pubblico a fare una precisa scelta di campo. Poi il testosterone deve avere lasciato campo ai neuroni, da qui lo spostamento. Evidentemente i neuroni non hanno prodotto sinapsi particolarmente felici perché la scelta di mettere un evento a ridosso del ponte del 25 aprile non può certi definirsi geniale (anche se sono convinto che qualcuno lo abbia pensato). Perché i milanesi uccideranno anche di sabato, ma quando c’è un ponte se ne vanno al mare o al lago come tutti i cristiani.

3. I costi. Dodici euro di ingresso per un Salone alla prima edizione è troppo. È troppo se pensiamo che il pubblico va creato e che quindi all’inizio bisogna investire, perché è sulle presenze che poi ti giudicheranno da subito. Teniamo anche conto che il mezzo più economico per raggiungere la fiera è la metro. Essendo fuori tratta urbana, il costo, andata e ritorno, è di 5 euro. Significa che solo per mettere piede alla fiera uno spende 17 euro. Che per una famiglia di 4 persone sono 68 euro. Sempre che la famiglia in questione si sia portata da casa i panini, perché al bar con 6 euro prendi giusto una ciabattina con humus e zucchine e se non sei vegano per mettere sotto i denti qualcosa di più consistente ci balla minimo un altro euro. Aggiungi da bere e un caffè a 1,5 euro e sono altre 10-12 euro a cranio. E poi… ah, già ci sono anche i libri da comprare, va be’, ma quelli possono aspettare. Ogni cosa “a suo tempo”.

4. La comunicazione. Un po’ di comunicazione sui media tradizionali è stata fatta (anche se non mi pare paragonabile a quella di Torino) ma sui social, le settimane prima dell’evento, la copertura è stata del tutto inadeguata. Conosco aspiranti scrittori che quando spammano ci danno dentro con molta più convinzione.
È poi una fiera alla prima edizione che ambisce a diventare il nuovo (e unico) salone nazione e internazionale deve partire da un nome vincente. Ora, Tempo d libri non è un brutto nome. Se dovessi organizzare una rassegna letteraria a Muzzana del Turgnano, Tempo di Libri andrebbe benissimo. Anche a Borghetto di Borbera farebbe un gran figurone, ma da una fiera internazionale con sede nella capitale economica (ed editoriale) di questo paese, mi aspetto qualcosa di più incisivo. Di più internazionale.



5. Il lavoro sul pubblico. Non so a quale pubblico si volesse rivolgere questa fiera. Per le ragioni spiegate sopra (costi) non credo che il target fosse quello delle famiglie e del pubblico occasionale (i non lettori). Non posseggo i dati sull’utenza di Torino, ma sarei pronto a scommettere che si possa dividere in due grosse categorie. La prima è quella dei veri appassionati, dei lettori forti (molto meno del 10% della popolazione italiana). Mettiamo in questa categoria anche quegli addetti ai lavori che a un Salone come quello di Torino vanno a fare “public relations” (editor, agenti, autori, giornalisti, blogger ecc.) che comunque amo pensare appartengano sempre alla famiglia dei lettori forti. Questo pubblico viene da tutto il paese, prendendo anche l’aereo se necessario e con il Salone ormai si è fidelizzato. Non credo comunque rappresenti più del 20-25% dei visitatori. Poi c’è il pubblico del territorio, di Torino e del Piemonte. Un pubblico che è stato creato nel tempo, a partire dal coinvolgimento delle scuole. TDL si è giocato una buona fetta del primo pubblico (affezionato a Torino) mettendosi in contrapposizione al Salone, presentandosi come la nemesi di quell’evento. Il secondo pubblico non lo ha creato, perché in pochi mesi non lo puoi fare. A meno che abbiano pensato che quelle simpatiche scolaresche dell’istituto Pinco Pallo di Settimo Torinese o di Collegno potessero venire, così, per intuizione dell’insegnante, a Milano invece che a Torino.

6. I piccoli editori. Ubi Major Minor Cessat recita un’antica locuzione. TDL è la fiera che le Major si sono fatte su misura ed è chiaro che se vuoi anche i piccoli editori (che ti devono coprire le spese con i loro stand) devi impostare una politica precisa. Cosa hanno fatto? Hanno preso i costi di Torino e li hanno dimezzati. Bene, bravi. Che ha fatto il Salone subito dopo? Li ha dimezzati pure lui (comunicando la cosa in modo più chiaro). E io quasi mi sono commosso, perché vedere un po’ di sana concorrenza in questo Paese è cosa rara. Milano ha rilanciato? No. Morale della favola, nessun piccolo editore ha rinunciato a Torino per Milano, tutt’al più con il solito costo ha deciso di farle entrambe. La media editoria invece ha fatto una precisa scelta di campo, sposando da subito Torino (e quello doveva essere un primo forte segnale). Aggiungiamo poi che meno di un mese prima a Milano si tiene il Book Pride, che è una fiera dedicata proprio ai piccoli e medi editori (e qui torniamo sulla data del tutto sbagliata scelta da TDL).
Buona comunque la presenza degli “editori” a pagamento. Del resto quelli sono come le erbacce del mio giardino, una battaglia persa.

7. I grandi editori. Gli stand dei grandi editori fanno sempre l’effetto di librerie di catena piazzate dentro un padiglione. Vere e proprie cattedrali nel deserto quando il pubblico scarseggia. A TDL dentro queste cattedrali c’erano più standiste che lettori, più sorrisi che sconti, più youtubber che scrittori, più fascette che libri.
TDL, con un po’ di umiltà, costi più bassi e un’altra data, potrebbe anche diventare una fiera interessante nel tempo, però forse prima di pensare a organizzare fiere, i grandi editori dovrebbero tornare a pensare ai libri e ai lettori.